Paolo Santarone

Equivoco



Cazzo ragazzi ma che cosa volete da me?
Vi piaceva il prete che diceva “cazzo!”, o “bella figa” se davvero c’era una figa che meritasse d’essere considerata. Ero eh sì un prete moderno un prete alla page! E anche le fighe ci stavano platonicamente s’intende perché chi mai potrebbe avere paura d’un prete vecchio e per giunta brutto come un cane?
Osceno osceno osceno! Così osceno che una volta quella bell’anima del Fabrizio scopiazzando da non so chi mi ha chiamato l’osceno del villaggio e la definizione ha fatto in un’ora il giro del paese.
Già, perché stavo anche in un paese, un paesino piccolo dove la gente parla e le vecchie comandano.
Come quella storia dell’asilo.
E’ vero, andavo fuori dell’asilo a guardare. Solo come quel cane che sono, un uomo con le sottane un uomo che non è uomo. Stavo lì con la mia smorfia quel ghigno che forse era maschera e forse vergogna. Vergogna di me vecchio stronzo di prete che ancora e ancora sentiva qualcosa rimestarsi nella pancia quando guardavo quando spiavo. Sì spiavo.
Mai pensato ai ragazzini. Le chiappette grazie a Lui non mi hanno mai stimolato.
Mi piacevano invece le boccucce e i sorrisi dei bimbi dell’asilo o dei primi anni delle Elementari mi piacevano le loro animucce porche e caste, mi piacevano le loro metafore involontarie, i loro giochi di parole. Come quella mocciosina che diceva che il suo ciupa ciupa sapeva di fragola di menta e lo diceva seria come una donna vera e io pensavo a figli che non avevo e ridevo fra me per quelle invenzioni seriose. Mai pensato a un sesso fisico mai pensato a fare qualche porconata con quei bambini. Un sesso di testa e di cuore sì perché io li conosco quei pensieri e so che anche i loro giochi gli scherzi le parole sono involontarie metafore di sesso, una preparazione, un allenamento, per le chiavate che fra una decina d’anni più meno che più sarebbero arrivate e non certo da me che fra una decina d’anni viaggerò verso gli ottanta. E guardavo la bambina col suo ciupa ciupa che lo lavorava di bocca come se fosse un pompino e quasi me la vedevo di qualche anno più grande a fare ciupa ciupa in un altro modo.
Già pronte ma non per me quelle mammine che venivano con le loro quattro per quattro e le tute a portare i bambini e poi si fermavano fuori a parlare tra loro. Loro sì le guardavo in un altro modo e con altri pensieri e sentivo nella testa e nel naso il loro odore di sonno e di uomo. Non le ciospe, no, ma così giovani le ciospe vere sono poche. Magari fra qualche anno quando il culo si appesantirà ma ora queste mammine bambine che me le ricordo bene quando erano loro a leccare il lecca lecca con quell’aria che già si capivano i lecca lecca del futuro. Le guardavo, sì, ancora sporche di sonno ancora arruffate e imbalordite dalla notte, quelle giovani troie che si erano date chissà perché non certo per la proceatio et educatio prolis e forse nemmeno per fame di cazzo ma solo così per usanza per abitudine per metter su famiglia. Che poi però la paglia vicino al fuoco brucia e sempre fighe erano, anche se forse inconsapevoli quasi come le loro figlie, e già avevano lasciato che il cazzo del loro uomo o dei loro uomini entrasse chissà dove oltre che in quel pertugio da quale usciamo bambini.
Già. Mia madre, pia madre. Non ce la vedevo, non ce la vedevo a farsi fottere da quella mezza sega del mi’ babbo. Eppure se io son nato vuol dire che le porconate le faceva anche la mamma e questo mi dava dolore e vergogna. De sanguine menstruo conceptus, come diceva quell’Innocenzo che non mi ricordo mai se era il terzo o che cosa,
E così stavo lì come un coglione a guardare ebete le mammine che giocavano alle signore maccheccazzo con le loro mammine coetanee cretine e puttane come loro.
E stare lì in mezzo mi dava come il senso di fare un’ammucchiata, un’orgia, tanto che spesso dovevo portare la mano a coprire improvvise protuberanze della tonaca. E facevo lo spiritoso meglio che potevo e loro facevan finta di darmi un po’ retta, facevano le educate, anche se si capiva benissimo che rompevo.
E poi proprio io ero a raccogliere ad accogliere le pudibonde peccaminosità in confessionale non di tutte ma delle tre o quattro che ancora ci venivano, a raccontarmi i loro stronzi scambi d’occhiate le loro casuali palpatine, i giochetti col marito dell’amica… oh, cenni, allusioni… e io ogni tanto azzardavo una domanda, ma con cautela e senza mai forzare per sapere quello che davvero avrei voluto sapere, E alla fine… quantum ego possum et tu indiges… quantum ego possum… ego… IO! Io! Il porcone che ben altro avrebbe saputo fare se solo ne avessi avuto il coraggio, se solo il getto del mio sperma fosse stato più sostanzioso e sostanziale se solo non ci fossero stati fuori quei bambini anime impudiche e perfette piccoli Eros dalle labbra tonde e dalle carnicine polpose. E sacreeeeeee!
Figlio pensavo vedendoli piccole tonde figliole mie spicchi d’innocenza, sangue corrotto eppure innocente, sangue non mestruo ma vivido e fluido e rosso come se finalmente il mondo fosse libero di amare e di scopare! E me ne stavo fuori dell’asilo a palpare mentalmente con animi diversi le mammucce e i piccini…
Ricordo la volta che tornato a casa mi sono spogliato nudo davanti allo specchio e mi sono fatto paura e vergogna con il mio batacchio moscio e piccolo fra le gambe gracili e sopra una pancia tonda ed enfia e sopra ancora il torace scheletrico e le braccia magrissime eppure flaccide e poi la mia faccia e nella faccia il naso e nel naso i peli come se il mio pube fosse trasmigrato lì, dentro il naso e dentro le orecchie. Peloni riccioluti e neri. E la bianchezza malata della mia pellaccia che da chissà quanto non vedeva la luce, non respirava un po’ di sole.
E così ho confrontato quel corpo con le sodezze delle mammine e dei piccoli e mi ha preso una vergogna che alla fine mi sono buttato a piangere sul letto. Quantum ego possum… maccheccazzo.
Poi l’equivoco terribile e tutto il paese ha pensato che non le mamme ma i cuccioli io bramassi bavoso come in effetti bramoso ero ma non dei cuccioli. O anzi: delle mamme e dei cuccioli in diverso modo e i cuccioli li amavo li amavo li amavo… sì, come un nonno. E da quel vecchio prete porco che sono le mamme bramavo in ben diverso modo, e vanamente, purtroppo.
Da allora m’hanno tolto di lì. Sono il pedofilo l’osceno il maiale. Nessuno di quelli che ridevano delle mie trioate ha più riso e anzi tutti hanno visto in quelle il preludio o il segno di questo di questo di questo scan-da-lo. Non ho più avuto figli e quelli che avevo mi hanno sottratto… non più amore non più gioco non più fantasie e sporcaccionate con le parole.
Di me hanno parlato anche i giornali. Il prete maiale che circuiva i bimbi dell’asilo.
Che senso avrebbe difendersi e che povero Cristo di vantaggio ne avrei, io povero Cristo?
Eppure la Curia è stata giusta. Ha fatto un’indagine seria, guardando non al nerume dei miei pensieri e della mia anima ma ai fatti. E i fatti anzi i non fatti erano tutti dalla parte mia. Puro come un angelo!
Così invece di sbattermi fuori m’hanno trovato un’altra sistemazione, dove tutti potessero dimenticarsi del prete pedofilo e io potessi continuare a fare il mio lavoro.
Sono cappellano in un ospizio. Quasi coetaneo delle anime che mi sono state affidate. Fra pochi anni sarò dei loro. E’ un lavoro duro, perché ho clienti esigenti e capricciosi appiccicosi come la loro bava. Ci vivo ora nella bava tutto intorno a me è bava e bava e bava. Le vedo ora le donne seminude, per l’impudicizia della demenza senile… seminude e bavose.
Per fortuna ci sono le infermierine.

6 commenti:

  1. Esplicito,crudo,intenso.Il delirio di un prete,ma prima di tutto di un uomo come tanti.Forse meno colpevole e bugiardo.Forse,solo costretto dal dovere morale che non esiste.Esiste la morale,ma è tutta un'altra cosa e lui,il prete "porco"ce l'ha,a differenza di una società falsamente puritana.E' un racconto che merita attenzione.
    Non scandalizza,ma colpisce forte per fare sentire un dolore preciso che esiste e condanna a vita.

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  2. Francesco Paolo Dellaquila17 giugno 2012 alle ore 11:35

    Paolo Polvani
    racconto forte, vibrante, interessante, insomma da leggere.

    Paolo Zanardi
    Un bel racconto, senza peli sulla lingua.

    Francesco Paolo Dellaquila
    Io resto un po' perplesso, mi scuserete ma al di là del racconto in se per se, penso alla personalità del personaggio e del narratore!

    Paolo Zanardi
    Immagino che un racconto con quel tipo di contenuto, scritto con quel tipo di linguaggio, susciti pareri discordanti. Tuttavia credo che un narratore debba saper far parlare un personaggio con il linguaggio proprio del personaggio stesso (senza necessariamente dover essere come lui, ovviamente). Non credo che, dato il personaggio e dato l'argomento, un linguaggio differente sarebbe stato efficace. Parere personale, ovviamente; così come personali sono i gusti.

    Francesco Paolo Dellaquila
    Gentilissimo Paolo, lungi da me nel credere che le due figure coincidano, tuttavia saprai bene che quando si costituisce un personaggio con tutti i lineamenti necessari per renderlo il più vicino alla realtà, questo non può definirsi e form...Visualizza altro

    Paolo Zanardi
    Caro Francesco, anzitutto sappi che rispetto totalmente la tua opinione. Detto ciò, aggiungo che non sono d'accordo con quanto affermi, ma questo rende più interessante la discussione :-) . Credo che gli errori di punteggiatura e le imperfezioni non siano casuali ma servano a rendere il linguaggio più "reale". Normalmente non approvo questo tipo di operazione ma, nello specifico, credo ci possa stare. Per quanto riguarda il linguaggio, a me il turpiloquio infastidisce (parecchio!) quando lo ritengo inutile e, a mio avviso, nel caso di questo racconto, non lo è. Anche Hemingway lo usava. Ma sto esprimendo un parere personale. Grazie per il tuo punto di vista.

    Paolo Polvani
    Caro Franco, non credo che Dostoievski avesse mai compiuto un omicidio, però quando ha descritto l'assassinio della vecchia da parte di raskolnikov in delitto e castigo ha scritto una della pagine più alte della letteratura mondiale; il tema della sessualità dei preti non è un tema facile, che si affronti a livello letterario a me piace molto; circa l'esito dell'operazione poi ognuno avrà il suo rispettabile punto di vista; però mi sembra che sia una delle rare volte che un racconto suscita una discussione, e di questo sono contento; sarebbe anche interessante ascoltare le ragioni dell'autore, Paolo Santarone.

    Claudia Zironi
    Ho trovato il linguaggio interessante, lo stridio del latino accomunato alla volgarita'... Grande umanita' del personaggio cosi' triste e anche qui stridente nel ricoprire con tanta carnalita' un ruolo spirituale. Decisamente intenso...

    Paolo Polvani
    inoltre penso che una delle funzioni della letteratura sia illuminare le parti oscure dell'animo umano, e in questo caso mi pare che l'autore abbia svolto un lavoro egregio

    Paolo Zanardi
    ho invitato Paolo Santarone ad iscriversi al gruppo, così potremo sentire anche lui direttamente.

    Claudia Zironi
    Concordo in pieno P.P. :)

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  3. Paolo Santarone
    E io di tutto cuore vi ringrazio. Ed eccomi qui.
    Vorrei sbarazzare il campo da un dubbio espresso da Francesco Paolo Dellaquila circa gli "errori" di ortografia e sintassi. No, giuro che l'italiano lo conosco bene fino alla pedanteria. Può essere che io sia stato inelegante o irritante, ma ti assicuro, caro Francesco, che non ho commesso alcun inconsapevole strafalcione (e neppure svista o erroruccio da matita rossa).
    Quanto al resto, posso solo dire qual era l'intento, lasciando a voi di giudicare sulla riuscita.
    Da molti anni lavoro sull'idea di immedesimazione, che è regola registica e attorale, ma anche - in modo davvero necessitante, se non si vogliono trattare i personaggi come soldatini di piombo in una battaglia immaginata - anche, dicevo, fondamento della narrativa.
    Pressato, come tutti quanti, dall'assillo mediatico sulla pedofilia ecclesiastica ho pensato di "diventare" un prete ossessionato dal sesso (non pedofilo, in nessun senso) che proprio a causa della sua ossessione viene scambiato per pedofilo.
    Chi ha qualche esperienza di teatro "fatto" sa che in scena si liberano, secondo i casi e le necessità della parte, sentimenti poco meno che autentici, spesso ignobili o moralmente condannabili. La bravura di un attore, che non segua i dettami paralleli della scuola registica che sostiene l'estraniazione, è di immedesimarsi fino a partecipare di quei sentimenti.
    Io sospetto che Dostojevskij abbia davvero pensato di uccidere la vecchia... che sia - pur saldamente ancorato alla sua scrivania - DIVENTATO un assassino. Non avrebbe potuto scrivere così, altrimenti.
    Io, si parva licet, ho cercato di fare un'operazione analoga. Ho davvero avuto quei pensieri turpi, ... turpi prima di rendermi conto che la pietà di me, prima ancora che quella per il personaggio, mutava presto la turpitudine in patetismo, e la vergogna in compassione.
    La storia che ho raccontato ne consegue come una cronaca consegue a un delitto.
    Ho conosciuto abbastanza bene un prete, un certo don Luigi Giussani, a proposito del quale credo sia in corso una causa di beatificazione, che conquistava l'adesione dei ragazzi e delle ragazze anche parlando in quel modo. A lui mi sono riferito anche per alcuni tratti fisici. Ma, naturalmente, i pensieri erano invece farina del mio sacco.
    Non so se ho contribuito alla discussione. Spero di sì.
    Per ora torno a ringraziarvi tutti

    Claudia Zironi
    Paolo Santarone, benvenuto! Ho gradito il tuo racconto ma mai avrei pensato a Giussani, nemmeno come connotazione puramente fisica. Nei tuoi chiarimenti fornisci una visione del personaggio e dell'uso della lingua che si intuivano gia' nel racconto, ma valida per chi non l'avesse percepita autonomamente. Ognuno di noi vive o si immedesima, seppur a volte per breve tempo, in cio' che vuole narrare e diventa un po' "assassino"... Complimenti!

    Paolo Santarone
    Grazie a tutti voi, a cominciare da Francesco Paolo Dellaquila senza il quale la discussione non sarebbe neppure nata. Grazie a Claudia Zironi, a Paolo Zanardi e a Paolo Polvani.

    Francesco Paolo Dellaquila
    Ringrazio di cuore tutti e in particolare l'autore del racconto, ma resto sempre perplesso nel considerare un rapporto troppo verosimilmente ravvicinato tra narratore (che coincide in questo caso con l’autore) e il personaggio.

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  4. Non credo di aver mai letto una sfilza di parolacce così abbondanti in un racconto e penso, comunque, che non siano messe lì a caso. Infatti, se le togliessimo, perderebbe parecchia energia.
    È un brano volutamente provocatorio. Quella tensione che provoca nel leggerlo serve per andare fino in fondo per vedere dove va a parare. Le cose che ho letto sono tanti luoghi comuni fra l’altro di una certa mentalità becera e maschilista. È un racconto che non mi entusiasma ma trovo che è fatto con arguzia, per essere ‘ricordato’.

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    1. Mi sarebbe piaciuto che ti fossi firmato. Il confronto sarebbe stato più aperto.

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  5. erano considerazioni che avevo scritto privatamente a una persona "senza la quale la discussione ... " Purtroppo sono state postate "senza chiedere il mio permesso" e messe in forma anonima a commento del tuo racconto.
    Forse perchè avevate poco seguito?
    I commenti che ho letto qui fanno veramente riflettere quanto poco si stia ad etichettare le persone. Spero di essere stata esaustiva, mi chiamo Fanecolo Selli....per gli amici.

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