Maria Lia Lotti

Racconto della Creazione


Dio stava nell’infinito spazio nero, vellutato e immenso.
Ovunque intorno a lui, tutto era immutabile e immoto , l’immenso Tutto si estendeva per ogni dove nelle dieci direzioni, coprendo di sé l’inimmaginabile, senza alcuna ombra e sussulto, essendo Esso perfezione perfetta oltre ogni limite. Tutto era Uno, il tempo era Uno, lo spazio era Uno, e Uno l’unico Sé onnipotente e assoluto.
Fu così che il Signore del Mondo fu preso da un infinitesimo refolo di noia.
Fu un impercettibile millesimo di istante, in cui balenò in lui il lampo del Cambiamento.
Dio concepì il Cambiamento.
Fu il numero Due, e l’infinito riprodursi dei numeri, per milioni e milioni e miliardi…. in una sequenza interminata e immisurabile.
Da quel vertiginoso istante, perso nell’infinita notte di velluto, presero origine tutte le Creature.
Esse cominciarono a proliferare dal pensiero di Dio come fiocchi di neve che roteano vorticosamente nello spazio e cadono a terra come funamboli di un circo magico, come giocolieri. Variopinte e mutabili, sorprendenti e meravigliose, le creature di tutte le forme e colori cominciarono magicamente a prendere forma, e perfino Dio si stupì della loro sconcertante bellezza. Vide le creste acute delle iguane e i bagliori dei cristalli, vide i petali screziati delle rose damascene e i pensieri di una donna innamorata; vide un capillare rotto su un dito di un bambino cinese e vide una rozza battaglia medievale in maglie di ferro; vide un burrone andino dove si abbarbicava lo stellato dono del muschio, e il vento dorato di una duna lunare nell’erg occidentale. Oh mio Dio! sentì proferire dalla sua stessa voce, ma forse era la voce incessante di tutte le creature che in un inconsapevole unisono, ringraziavano stupite il miracolo di esistere, e di nascere incessantemente roteando nello spazio celeste fino a terra, come fiocchi di neve multicolori e come funamboli.

Gli atomi del pensiero di Dio continuarono a roteare e cadere sui mondi alla velocità della luce, e continuarono a creare lo spettacolo esorbitante della molteplicità.
Dio era immensamente felice, più immensamente e perfettamente che mai, e per la prima volta - ma si può dire di un prima e un poi per chi esiste assolutamente nel sempre? - per la prima volta dicevo, per così dire, Dio sentì che non era solo. Accanto a lui c’erano le stelle e le ombre, la disperazione e l’orgasmo, le stoffe, le spezie, i paesaggi di Francia, l’odore di cucina, la mente di Leonardo, di Barbablù e di Maria, i poligoni irregolari, le barzellette… Oh sentirsi insieme a tutto questo! Oh my God! e proseguì l’infinito stupore e il divertimento, la gioia di Dio, che tuttavia certamente tutte queste cose le conosceva già da sempre, e ora stava quasi cincischiando con la sua mente perfetta, come fanno a volte gli uomini della terra.

Diverse furono dunque le cose per cui Dio si stupì.
Innanzitutto si stupì della QUANTITA’ di creature che creava la sua immaginazione. Prima di averle viste, quasi lui stesso non l’avrebbe immaginato! Esse cominciarono a popolare il vuoto, e ciò che prima appariva vuoto ora le ospitava e le conteneva tutte, e il vuoto ne chiamava ancora altre e altre e altre innumerevoli ancora, senza colmarsi mai.
E poi Dio si stupì della DIVERSITA’. Come dall’Uno potessero generarsi così svariati esseri, quasi parve un mistero anche a lui stesso. Alcuni erano tondi, altri quadrati, alcuni alti, e poi bassi, tondi, rugosi, molli, freddi, azzurrini, salati, silenziosi, ardenti, con dodici zampe, traslucidi, succosi, struggenti… E dovettero nascere anche le innumerevoli parole per nominarli, un’infinità di suoni e segni con cui inventariare tutto ciò.
Il Creatore si accorse poi che le creature non solo erano diverse, ma talvolta sembravano perfino opposte! Anzi a volte esse perfino si azzuffavano, immemori di essere esattamente e perfettamente sorelle, generate istantaneamente da un impercettibile unico moto della sua infinita e perfetta mente vellutata. Con incredibile sorpresa, apparve sul vocabolario la parola Ossimoro, e ci fu forse nel Signore un motto di spirito nel vedere l’abbraccio dei serpenti e della pietra, gli uccelli alati e il fumo della polvere, il maschio e la femmina, il dolore e la felicità, o il sorriso su un volto il giorno della morte.
La terza cosa per cui il Creatore si stupì fu dunque l’ODIOAMORE.
Oh sì, lui lo sapeva, lo seppe, grattandosi un attimo la divina fronte imperturbabile: vide tutte le battaglie e tutte le avversioni, vide le facce degli opposti che erano la stessa medaglia, e vide il sangue che scorreva in quella lieve immaginaria fessura nei millenni, simili a istanti, che precedevano il grande gioco equinoziale del ritorno.
Eh sì! Le sue buffe creature, quasi di testa propria, amavano il gioco pendolare della diaspora e del raduno, come una clessidra che si ribalta, ora qui, ora là. Ora il grande trionfo dei solstizi gravidi di viaggi, e poi di nuovo il cercarsi, l’appartenenza e l’indugio…, i racconti attorno al fuoco nel grande bivacco di mezzanotte, prima di ripartire all’indomani con lo zaino sulle spalle, una mappa, e in mente una canzone.

Oh si, l’Altissimo le amava, le sue variegate, scellerate, divergenti creature. Egli le amò, le ama, le amerà in tutti i tempi e modi indicativi e congiuntivi e infiniti dell’universo infinito, come un unico figlio e figlia e un’unica stirpe.

Ma esse, le creature, preferivano invece il Cambiamento. Incapaci di permanere nell’immensa e vellutata quiete notturna che le aveva generate, esse rimanevano strette all’istante ardente del concepimento e della divisione; sempre nel mondo amavano il giorno e l’avventura, gli antipodi, l’invenzione e il capitombolo errante da cui nascono tutti i semi, come vaghi fiocchi di neve e funamboli.
Solo a volte, a certi crocevia, nelle notti di luna o sugli orli di un abisso, le creature cominciavano a sentire nel petto un’inquietudine e il rodimento sordo di un vuoto. Allora più di tutto esse bramavano una cosa chiamata amore, che pareva venire da una notte vellutata e antica, perduta in fondo a una memoria immemore e misteriosa. Così si produssero in infinite forme di amore e conobbero ogni varietà di eros e di agape, da quelle più delicate e fraterne alle più appassionate e sanguinarie; ma in fondo al cuore, nelle notti di luna o in riva all’abisso, tutto pareva sempre una parte, un vuoto e una fame di vento.
Perfino il Signore cominciava quasi a preoccuparsi. Stava giusto per sedersi su una nube all’alba del settimo giorno, quando vide stupefatto l’ultima e impensata meraviglia.

Vide che ciascuna delle sue predilette e sorprendenti creature, proprio quando era così perduta nella notte, rimembrava a un tratto la sua natura molteplice e bifronte. Colta dal suo stesso ossimoro, osava guardare nello specchio la sua faccia rifuggita e oscura, temuto fantasma delle tenebre. E infine, sopraffatta dalla tenerezza, cedeva all’infinito amore per se stessa, e ricomponeva mirabilmente per la prima volta il grande e magnifico Uno che era sempre stata.
In quell’estremo e intimo abbraccio, la creatura dispersa provava per la prima volta l’inseguito Amore. Si scopriva immagine, somiglianza e sostanza luminosa di qualcosa che chiamò Dio e Padre, e che sentiva finalmente in fondo al cuore, traboccante di benedizione e di grazia.
Allora la creatura di Dio trovava la pace, e cominciava ad amare il mondo con tutte le sue sorelle iguane e giunchiglie, spezie e dune e croci, fraterni sassolini e cieli stellati. Sembravano fiocchi di neve o vaghi giochi di luce, coriandoli e ghirlande, come una meravigliosa festa d’estate in un grande prato di velluto.

Tacque il Signore onnipotente sui bordi del Cielo e della Terra. Tutto era Uno, il tempo, lo spazio, il canto, e l’unico infinito Sé innumerevole e assoluto.

3 commenti:

  1. Non so dire perchè ma sono rimasto in attesa fino all'ultima riga di qualcosa di ironico. Forse sono partito prevenuto nella lettura a causa dell'argomento "religioso" (sottolineo le virgolette). Rileggendo più volte il racconto, ho cercato di mettere da parte il pregiudizio e ho iniziato a sentire un "abbraccio mistico" e un barlume della pace che deve avere provato ed ispirato l'autore. Sarà che io non sono in pace...
    Bello, in ogni caso.

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  2. Senza dubbio il racconto è scritto da qualcuno che sa manovrare molto bene le parole, io sospetterei un autore di buon livello. Con cultura buona e variegata, eros e agape e l'accenno al Sé lo testimoniano. Si legge volentieri, lascia una buona sensazione, mi sembra perfetta per ragazzi ma non solo. Mi sono piaciuti i passaggi dall'uno al molteplice e la tensione di tutte le creature al cambiamento e all'amore.

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  3. Bellissima narrazione, ma una frase fra tutte mi ha folgorato:
    "Dio era immensamente felice"

    Che meraviglia! E' una carezza al cuore leggerla.

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