Paolo Santarone

Il branco



Che cos’è che vuole sapere? Ci rimugino da tanto di quel tempo che posso attaccare da qualsiasi punto oppure se ha voglia di ridere le racconto tutta la storia a rovescio parto da oggi e poi ieri e poi l’altro ieri…
Da dove parto insomma?
Ci penso e ci ripenso sa? Non solo al fatto ma a quello che c’è stato prima a come è brutto essere lo scemo della classe lo scemo del villaggio come quella volta che giocavamo agli indiani e l’indiano naturalmente ero io e mi hanno legato a un palo e mi hanno tirato giù i calzoni e le mutande e poi mi hanno piantato lì come se fosse la cosa più da ridere del mondo e io piangevo e urlavo e mi vergognano e poi avevo anche paura che qualche bestia venisse a mangiarmelo e quelli neanche mi sentivano perché per loro lo scherzo era finito e se n’erano andati chissà dove a fare qualcos’altro.
Che poi però uno l’ho beccato e gli ho rotto il naso con un cazzotto perché sarò anche scemo ma non sono un fighetta e se alla lunga un po’ hanno finito per rispettarmi è perché tiravo delle sventole che facevano cagar sotto. Anzi ero diventato quasi un capo perché se mi dicevano c’è quello là da menare io andavo e lo menavo senza tante storie. E una volta l'Andrea mi ha detto scommetto che hai paura di pestare il bidello e io sono uscito dalla classe e l’ho fatto nero anzi rosso per tutto il sangue che gli veniva giù dal naso e dal labbro e tutti erano lì a ridere e dopo mi hanno detto bravo Penèl, che mi chiamavano Penèl perché mio padre fa il pittore insomma l’imbianchino. E il bidello aveva tanta di quella caga che non è neanche andato a dirlo al preside e diceva in giro che era caduto per sbaglio.
E così insomma piano piano mi son fatto degli amici beh proprio amici no ma insomma stavo con loro e loro mi sfottevano poco e ci stavano attenti. E un po’ ero diventato amico con l’Andrea che mi diceva noi siamo una banda noi siamo una squadra e con te dentro facciamo il culo nero a tutti e io mi sentivo un po’ un capo, insomma, perché sapevo che la storia del culo nero era vera.
Con l’Andrea andavamo che era una meraviglia. Era il più matto di tutti, quello che gli venivano le idee più bislacche e era capace di star lì due ore a spiegarci come si potevano ciulare i vigilantes e magari fare una rapina e s’inventava di quelle stronzate così grosse che noi stavamo li a fumarcelo con gli occhi.
E una volta l’Andrea ha detto piantatela di chiamarlo Penèl, Penèl non è un nome da vero duro, io da adesso lo chiamerò la Cosa come quello dei fumetti. E così sono diventato la Cosa.
Li ho letti poi i giornali: tutte quelle cagate… La gioventù d’oggi, ma vaffanculo!
La noia, la noia sì. In discoteca ci andavamo sì e no una volta al mese perché era a casa del diavolo e ci guardavano male perché non avevamo i soldi per le consumazioni extra.
Ci divertivamo a fare i duri questo sì. Se puntavamo una ragazza il pirletto che era con lei faceva meglio a andare da qualche altra parte, e anche i buttafuori ci andavano piano. Ma poi mica che concludessimo niente! Qualche smanacciata sul culo qualche strizzata di quelle toste e poi lei di solito trovava il modo di squagliarsela e noi lì con tutti che ci guardavano male.
Dopo qualcuno di solito l’Andrea ci raccontava che l’aveva incontrata e che lei aveva detto che aveva dovuto fare la difficile perché c’erano lì dei suoi amici che rischiavano di raccontare tutto ai suoi genitori, e qui l’Andrea partiva per la tangente e raccontava che cosa aveva fatto poi con quella ragazza e come lei gridava dalla goduria e com’era bagnata e i graffi che gli aveva lasciato sulla schiena e io mi sentivo la pancia giù sotto come se quella roba mi fosse capitata a me ma gli altri dicevano che l’Andrea cacciava balle e l’Andrea mi diceva di stare calmo e di lasciare perdere che quelli erano dei bambocci stronzi e non capivano un tubo.
E a furia di parlare di puttane l’idea diventava sempre più pesante. E qualcuno diceva che se riuscivamo a beccarne una isolata allora potevamo anche passarcela tutti senza correre rischi e senza spendere una lira. Era diventata una fissazione e ce ne andavamo in giro la notte a vedere se per caso riuscivamo a beccare la Troia Solitaria come avevamo cominciato a chiamarla tra noi.
E finalmente l’abbiamo beccata. Era una mica tanto giovane una di un paese vicino non un’extra. Poi al processo hanno detto che quel mestiere lo faceva di tanto in tanto quando aveva bisogno di grano e così abbiamo capito perché se ne stava così isolata e senza neanche il pappa.
Beh insomma sempre figa era no?
La prima volta ci siamo andati io e l’Andrea da soli a tastare il terreno. Era proprio vecchia avrà avuto più di quarant’anni e non aveva neanche quell’aria sexi che avevano le altre battone giù sulla provinciale sembrava un’operaia appena uscita dalla fabbrica. L’Andrea le ha chiesto quanto voleva per tutti e due ma lei l’ha guardato male e gli ha detto di smammare. Ritorna fra cinque o sei anni, gli ha detto. Ma l’Andrea non mollava e anch’io mi ero offeso per quella faccenda che ci aveva preso per dei patoja ma quella nella borsetta doveva averci un peso o un pezzo di piombo o qualcosa così e ha cominciato a tirarci delle borsettate che a momenti ci spaccava la testa. A me mi ha preso proprio sul naso e ho cominciato a sanguinare e volevo saltarle addosso e farle vedere se ero un bambino ma l’Andrea mi ha preso per un braccio e mi ha portato via. Ma non era per paura, no, era che aveva un piano.
E quando ci siamo ritrovati con la banda l’Andrea ha detto che quella doveva pagarla e ha tirato un coltello fuori dalla tasca. Parlava calmo e freddo l’Andrea. A quella le facciamo l’operazione ha detto lui, la apriamo e guardiamo come è fatta dentro ma prima ce la scopiamo alla grande e vediamo anche come è fatta fuori, per quel povero cazzo che vale.
Ci guardavamo perché nessuno di noi aveva mai ucciso nessuno e neanche avevamo pensato di farlo. Oddio pensato sì e anche spesso… avevamo pensato di uccidere i vigilantes, le battone senegalesi, i bambini… ma erano spacconate cose dette tanto per dire… fantasie tanto per farcelo venire un po’ duro… ma ora tirarsi indietro voleva dire tradire la banda essere vigliacchi.
E poi l’Andrea ha detto la cosa che non dimenticherò mai più. Un uomo che è stato in guerra, ha detto, sa qualcosa che gli altri non sanno sa che cos’è la morte sa come si fa a uccidere. Un uomo che uccide, ha detto, sa. E mi guardava in faccia e sembrava il prete quando fa la predica e si capiva che ci credeva… si capiva che quella cosa lì era vera. E’ vera, sai? E’ vera. Io ho provato e io so.
E così la sera dopo non eravamo in due ma in tredici e le siamo saltati addosso tutti insieme le abbiamo strappato la borsetta abbiamo tirato fuori i soldi e l’abbiamo scaraventata dietro un cespuglio. Quella cagna era forte si agitava gridava e io le ho messo una mano sulla coscia che era calda e poi l’ho presa più su e pizzicavo strizzavo e lei gridava e gli altri facevano ognuno quello che si riusciva a fare in tredici su una donna e le morsicavano le tette la gola le avevano spalancato la bocca con le mani e le avevano rotto le labbra ma quella continuava a agitarsi, con quella boccaccia che era diventata grandissima e a gridare e le strappavano i capelli e sanguinava anche un occhio che era mezzo fuori.
E allora la Cosa ha piantato il coltello poco sopra la… la… oh che cretino adesso mi vergogno a dire figa… L’ha piantato profondo e ha spinto in su verso l’alto verso la pancia verso le tette insanguinate e il manico era diventato così viscido che non riuscivo più a tenerlo in mano ma quella ancora si muoveva e la Cosa ha spinto in su ancora fino a quando quella ha smesso di muoversi e di agitarsi. Mi guardava con i suoi occhi morti e storti e c’era un grande odore di merda a per via dello sbudellamento.
Mi sono alzato in piedi e gli altri non c’erano più. Ero così pieno di sangue che sembrava che l’ammazzato fossi io e c’era quell’odore caldo di sangue e d’intestini e io ero solo e avevo ucciso.
Avevamo fatto fra noi e lei tanto di quel casino che avevano finito col sentirci e così a me mi hanno preso subito. Gli altri li hanno trovati e presi un po’ per volta.
Del processo e di quello che hanno scritto i giornali mi ricordo poco salvo le incazzature che mi hanno fatto prendere con tutte quelle stronzate. Da quando sono qui, invece mi ripasso quel film parecchie volte al giorno e rivedo le cose proprio come in un film incasinato con le immagini confuse scambiate sovrapposte e sento anche gli odori… li ho nel naso e non vanno via.
Mi piacerebbe una volta o l’altra rivedere l’Andrea.

5 commenti:

  1. Mi e' arrivato un cospicuo assegno da anonimi oggi, sulla busta al poste del mittente c'era AE e dentro la busta con l'assegno un biglietto ricavato da lettere di quotidiano ritagliate: PeR UN commeNTO A sANTAronE. E quindi eccomi, a non saper cosa dire. Un racconto crudo? E' poco. Mi sento male? Si' e' scritto bene con un verismo e un realismo che butta nell'oscurita' tutto quello che c'e' stato da Verga in poi. Mi pare sul filone di quello del prete, ma devo dire che quello mi aveva meno sconvolto, che' il prete alla fine non era pedofilo per davvero. Questa cronaca invece arriva fino in fondo e lascia aperta l'idea che potrebbe essere vera; di tipi cosi', come la Cosa e come Andrea, le nostre scuole sono infestate. Non voglio incoraggiarti a continuare perche' non so come potrei reagire al prossimo se fosse peggio di questo. Pero' non posso che complimentarmi, per la forma che hai saputo simulare, per la storia avvincente nella sua crudezza, e anche un po' per il coraggio.

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  2. Come ho avuto modo di scrivere in altre occasioni, il turpiloquio gratuito mi infastidisce e ritengo non debba essere utilizzato in letteratura, anche se attualmente spesso se ne abusa. Nei racconti di Paolo Santarone esso è invece necessario per rendere con realismo certe situazioni che diversamente rischierebbero di non raggiungere il lettore con la necessaria forza. In questo scritto mi colpisce particolarmente il fatto che il protagonista, raccontandosi, sembra rimanere in bilico sul filo dell'incoscienza della gravità di quanto compiuto. Da un lato sembra non esserne cosciente (o non volerlo essere), dall'altro si trova giocoforza a dover fare i conti con il ricordo (immagini, odori, sensazioni) che si fa strada come tentando di aprire una breccia di dolorosa consapevolezza.
    Il protagonista-narratore, che a tratti muove anche a compassione per il suo essere infantile, mi sembra il frutto, esasperato ma realistico, dei nostri tempi, della logica del branco, della necessità di apparire ad ogni costo per poter essere considerati, dell'annichilimento dei valori e delle coscienze.
    Questo racconto mi piace, e anche molto; tuttavia, per la potenza del suo realismo, non credo riuscirei a leggerne tanti dello stesso tipo, se non a distanza di tempo l'uno dall'altro. Ma questa è una questione di sensibilità personale.

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  3. Di Santarone,ancora un racconto crudo,spietatamente crudo,al punto di rivelare il volto più drammatico dell'umanità. I suoi personaggi sono quelli odiosi della cronaca nera,fino all'onerosa presa di coscienza di una scomoda emarginazione socio-culturale,che moralmente vorremmo escludere perchè orrenda,criminale,ma che invece ci appartiene come ogni piaga sociale e Santarone sembra sottolinearlo,con il suo cinismo(...) attento,sofferto.Sembra chiamarci ad una sorta di esercizio di riflessione personale per individuare vittime e carnefici che abbiano ruoli molto più subdoli dentro le solitudini degli uomini.Davanti al macabro,l'istinto assume posizioni diverse secondo il proprio ruolo emotivo,ma la coscienza dell'uomo non ammette schieramenti e parla a nome di tutti.Ci sono solo due motivi per cui "il colpevole" parla:o è stupido o soffre maledettamente.Nel racconto di Santarone,il protagonista colpevole,non è stupido...

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  4. Una trentina di anni fa un allievo di mia moglie, che negli antefatti era assai simile alla Cosa, "operò" un tizio fuori dello stadio di San Siro, a Milano. Per ironia del caso il tizio (operato alla perfezione con un coltello a serramanico, e conseguentemente deceduto) era tifoso di quello stesso Milan per cui tifava la nostra Cosa, che a questo punto dal racconto letterario rienta nella cronaca con il cognome Centrone (il nome non lo ricordo). Potrà sembrare una boutade, ma Centrone non era un cattivo ragazzo. Era più che altro votato -non so se per natura o per cultura- a fare l'esecutore per conto terzi, e in particolare di quel "terzo" che l'aveva mandato a menare il bidello. Centrone era da poco maggiorenne e si prese la sua bella condanna. Il "terzo" non venne neppure chiamato in causa. Presumibilmente ora Centrone è fuori. Chissà se anche lui ha voluto rivedere l'Andrea.

    Ho molto apprezzato i commenti, dei quali sono lusingato. Voglio ringraziare Paoloz, Claudia, Sonia e Marisa.

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  5. " E allora la Cosa ha piantato il coltello poco sopra la… la… oh che cretino adesso mi vergogno a dire figa… L’ha piantato profondo e ha spinto in su verso l’alto verso la pancia verso le tette insanguinate e il manico era diventato così viscido che non riuscivo più a tenerlo in mano ma quella ancora si muoveva e la Cosa ha spinto in su ancora fino a quando quella ha smesso di muoversi e di agitarsi. Mi guardava con i suoi occhi morti e storti e c’era un grande odore di merda a per via dello sbudellamento." Mi pare che questo brano sia per molti aspetti il centro del racconto.
    E' interessante il fatto che il protagonista narratore improvvisamente parla in terza persona. E non si capisce bene se è un refuso, o se il narratore sostituisce effettivamente l'autore e gli sfugge di mano. Ma forse è semplicemente un abile artifizio, per dare risalto alla scena madre e allo stesso tempo prenderne le distanze. C'è in effetti una sguardo esterno, c'è un coltello che apre una pancia, e l'attenzione si sposta su un conato di pudore nel pronunciare la parola "figa" . Quale definizione migliore del personaggi, della storia e dei suoi contorni?
    Mi sembra di vedere un bambino infilato per sbaglio nel corpo di un gigante, che non riesce o può essere nè l'uno nè l'atro. E non sa fare altro che cercare disperatamente, anche dopo anni, nello sguardo dell' amico una risposta.

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