Sonia Tri

Parlava con le galline


Parlava con le galline, con il gatto. Parlava con le nuvole basse quando attraversavano i pomeriggi e le sue parole diventavano arche piene di animali, case piene di gente, piazze con le luci e i giocolieri. Per tutti era un visionario, lo zimbello del paese.
Sua madre lo guardava isolarsi nei  mondi che raccontava, poi nascondeva il volto tra le mani per non mostrare la sua pena e correva in chiesa a chiedere assistenza a Dio. Un giorno,  vinta dalla disperazione,  raggiunse il figlio,  in fondo all'orto. lo percosse per un braccio e gli urlò di non parlare più da solo. Gli disse che era peccato, che Dio non voleva, che l'angelo custode piangeva. Il bambino fissò la madre , replicò  che lei non sapeva chi fossero gli angeli e, da quel momento, non parlo più. Camminava, le braccia lungo i fianchi e gli occhi vuoti. Era come se il libro della sua anima si fosse chiuso, senza nessun segno ad evidenziare il più piccolo pensiero. Remo lo vide passare, una mattina di settembre, quando l'aria un po' più fresca infastidisce appena ed i colori accecano. Gli avevano parlato di lui, le colleghe a scuola. Se avesse frequentato regolarmente, lo avrebbe avuto tra i suoi allievi. "Dove vai?"- gli chiese accostandolo. -"Non mi rispondi? Non posso esserti antipatico, non mi conosci nemmeno!"- Si sedette sul ciglio della strada e guardò per aria -" Tutto fuorché la libertà, tutto fuorché la gioia. . . "-il ragazzo lo guardò, le braccia lungo i fianchi, i piedi a papera. "Ripeti"- chiese. Remo si alzò in piedi -"Hai parlato!"-"Ripeti!" insistette l'altro e Remo non si fece pregare oltre. Sorrise respirò a fondo e parlò ancora -"Tutti pensavate che avessi perso la lingua. Ma io non ho mai smesso di parlare. Non volevo mi sentisse la mamma o Dio o l'angelo custode. Io parlo sempre, anche di notte. Parlo così tanto, che non ricordo neanche che giorno è oggi, che giorno era ieri, quanti anni ho. Ma per fortuna, quelli non sono importanti. Vorrei averne cinquecento, come certi alberi, Tutti a cerchio, uno dentro l'altro. O non averne proprio come Dio o un giorno solo come quella farfalla che vola. La vedi? Le farfalle sono come le nuvole. Non durano niente. Niente dura niente!"- guardò Remo. -"Pensi anche tu che io sia matto? Lo pensano tutti. "-"Io no"- disse Remo e ripresero a camminare assieme, uno accanto all'altro. Come se fosse stato sempre così, come se quei passi lungo i viali, fossero parole taciute che affioravano alla bocca di entrambi. S'incontrarono il giorno dopo e il giorno dopo ancora. Camminavano per il paese e per tutte le parole che, grandi come piazze, contenevano persone e cose.
"Com'è tutto bello al sole! Nessuno sembra vecchio o malato. Le madri sembrano bambine e le bambine fiori. Il giorno sembra buono e l'aria fresca sembra profumo di pane . Non conosce dolore, il sole. Nessun dolore spegnerà il sole. "- Perché tutti dicono che tu sia matto?-
"Perché io dico tutto quello che voglio e vedo e sento cose  che gli altri non possono. Solo i matti fanno così “-e rise come se ciò potesse dissolvere quella colpa. "Se fossi normale andrei a scuola, dormirei di notte, avrei paura di morire. E io non ho paura di morire, perché già prima di nascere non c'ero e non mi ricordo niente, sarà così anche dopo che sarò morto. "-Remo più volte, avrebbe voluto abbracciare quel matto al suo fianco, ma lui non si lasciava toccare. -"Mia madre si è dimenticata sempre di accarezzarmi, allora, si possono dimenticare tutti!" Si accartocciava su se stesso e poi riemergeva come una lumaca dal suo guscio. Un pomeriggio, non si presentò all'appuntamento, ne si vide in giro. Dopo qualche giorno girò voce che lo avevano portato in un istituto per ragazzi come lui. Quell'inverno trascorse lentamente, incolore nell'attesa di primavera e notizie buone. Ma di quest'ultime, nessuno parla mai. Durano molto meno della curiosità per quelle brutte. Quella per "il matto" era finita dopo poche settimane dal suo ricovero in manicomio. Spenta, come le luci in casa di sua madre.  Di lui, nessuno parlava più. E così, quando ricomparve, che era quasi di nuovo autunno, tutti 
si stupirono. Taceva, seduto sulla panchina della stazione delle corriere. La testa rasata e gli occhi di vetro. Piccole finestre a cui non si affacciava nessuno. Avvertirono Remo che era li e lui corse. Ingoiò la strada e gli arrivò alle spalle. Spalle curve, come rami di quercia carichi di neve, tremava. Si sedette vicino a lui e sussurrò la frase di Walt Whitman, come la prima volta che lo aveva incontrato: "Tutto fuorché la libertà, tutto fuorché la gioia". Alle piccole finestre scure, apparve una luce fioca. -"Sapevi che si può cancellare il cielo? Gli uccelli in volo, cadono. Cadono le farfalle dalle margherite e gli alberi si piegano fino a terra,  perché non hanno più nessuno sopra di loro. " Remo vide cicatrici sulla sua testa, , rotaie su cui passavano lenti, treni di sola andata. "Che ti hanno fatto?"-chiese piano. L'altro si alzò in piedi: "Nessun dolore spegnerà il sole. Anche senza cielo, lui ci aspetta da qualche parte. Magari dopo che avremo camminato tanto e non ci accorgeremo più di niente"- Fece un respiro lungo e se ne andò solo. 

12 commenti:

  1. C'è una dolcezza ed un'emozione, quasi infantile che cattura

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  2. anche se è triste, il racconto ha una ricchezza di immagini, una leggerezza e un respiro dell'anima che avvince fino alla fine.
    complimenti!

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  3. ho letto queste poche righe e sono ritornato dietro nel tempo ho rivisto quella bambina malinconica e fantasiosa
    sì la tua storia è triste ma sono sicuro che puoi avere altri sentimenti...

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  4. L'ho letto rapidamente, quindi vi tornerò. Oltre a una generale sensazione di serenità a dispetto della tematica triste e complessa, mi sono piuaciute alcune immagini, in particolare "cadono le farfalle dalle margherite".

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  5. una favola triste scritta con una leggerezza appassionata e poetica. forse andrebbe riletto dall'autore per correggere qualche refuso. in ogni caso mi sembra una scrittura nitida e profonda.

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  6. Cara Sonia questo è un poco il percorso di tutti noi: gli altri ci riempiono la testa fin da piccoli e noi non riusciamo ad esprimere ciò che abbiamo dentro ed alla fine non parliamo più. Mi è piaciuto molto il racconto perchè esprime delle verità:chi ha un amico con il quale poter essere sincero?

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  7. Ho letto con trepidazione ed ho riconosciuto lo stile "antico" dei Suoi racconti.L'impressione globale rileggendolo è di uno scritto un pò "affastellato" e sbilanciato. Descrizioni geniali (cielo cancellato)rendono sinceramente meritevole questo racconto. Complimenti!

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  8. "... cicatrici come rotaie su cui passano lenti treni di sola andata". Descrive così nitidamente il senso di inutilità che talvolta pervade chi porta cicatrici profonde, nel corpo o nell'anima... Ma col suo racconto Lei suggerisce che c'è un viaggio nel viaggio: il biglietto è aperto, e "nessun dolore spegnerà il sole". Complimenti GY

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  9. dolce, vero, reale, commovente, poetico. un racconto che lascia la sua scia nel cuore e nella mente. una fotografia raccontata con sensibilità e intelligenza che racconta uno spicchio della nostra e delle passate società e che ci auguriamo sempre più ci costringa a riflettere e correggerci nel breve tempo. grazie sonia per come illustri, con le parole, gli aspetti e le umanità che ci circondano e come le colori con sfumature tipo: "vorrei averne cinquecento... niente dura niente". gugli

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  10. molto bello questo racconto, spero di leggerne altri

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  11. ....solo da persone "belle" come Sonia possono uscire storie "belle" come queste....e non si parla di bellezza esteriore!! Grazie Sonia

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  12. Mi sono divertito a seguirti nella correzione di qualche riga in passato; ci siamo poi divertiti a rileggere quelle correzioni dal gusto clinico e tristemente neutro. Relegare il mio supporto al tuo lavoro unicamente sul piano morale, è stata la scelta più saggia ;)

    Promessa: un giorno canterai per me e io ballerò per te, così alla Paura gliele suoneremo di santa ragione!

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