Io la Natalina non l’ho conosciuta. A parlarcene era la Carla, l’unica persona che si prendesse cura di lei. Ora che la vecchina è morta, la mia amica rifiuta quasi irosamente d’ammettere che nessuno, lei compresa, avrebbe potuto provare un po’ d’affetto per la Natalina, ma io so che mente: la accudiva per un suo personale senso del dovere e della pietà, ma volerle bene era proprio una cosa impossibile.
Viveva in una perenne paura degli
altri, convinta che il mondo intero congiurasse per derubarla o per
deriderla. Non dava niente e non chiedeva niente.
Si sapeva che aveva un po’ di soldi
da parte, ma a lei bastavano poche migliaia di lire (o si dovrebbe
dire oggi pochi euro?) per vivere la sua lunga sopravvivenza
settimana dopo settimana. Si cibava di quel che capitava, comprando
sì e no il pane e un po’ di latte o qualche uovo. Niente
frigorifero, naturalmente, e un fornelletto a due fiamme che usava il
più raramente possibile. Aveva il riscaldamento in casa ma non lo
usava: rubava quel po’ di tepore che poteva arrivarle dagli
appartamenti vicini e nei mesi freddi s’infagottava in strati di
vestiti che la rendevano gonfia come un clown. D’altronde, di casa
non usciva quasi mai: anche se credo non disdegnasse, non vista,
qualche rovistatina nei bidoni della spazzatura, non era una barbona
da strada, anzi difendeva con caparbietà un decoro che poteva essere
salvaguardato solo con l’artificio dell’autoreclusione. Solo
Carla e l’amministratrice del condominio avevano accesso alla prima
stanza dell’appartamento della Natalina, che la vecchia teneva in
ordine, io credo, solo in attesa di quelle loro visite. Le altre
stanze erano precluse e segrete.
Nessuno al mondo amava la Natalina e
la Natalina non amava nessuno al mondo, meno che mai quelle sue
parenti che l’avevano lasciata sola, dopo averla vanamente circuita
per carpirle – così lei sosteneva – qualche bene, qualche soldo,
qualche chissacosa.
Un giorno l’amministratrice
telefona alla Carla: di punto in bianco, la Natalina ha deciso di
farsi ricoverare in un ospizio. E’ meglio così – ha detto, –
così non do disturbo a nessuno. E senza dare disturbo a nessuno la
novatatreenne Natalina è morta una ventina di giorni dopo il
ricovero.
Con sua sorpresa e con tremendi sensi
di colpa (è fatta così, che cosa possiamo farci?) la Carla si
scopre erede universale: novantotto mila euro sul libretto al
portatore e l’appartamento, vecchio ma con vista sul lago, e in
pieno centro della cittadina.
Da padrona, ora la Carla può
finalmente entrare anche nelle altre stanze. L’effetto d’insieme
è disastroso: la decadenza, lo squallore, l’accumulo irragionevole
d’ogni sorta di cose brutte e inservibili fanno della casa un antro
senza tempo e senza gloria, nel quale però spunta qua e là un
oggetto degno d’essere salvato. C’è di tutto: qualche mobile
antico e di un certo valore insieme a mutande vecchie di quasi un
secolo, coperte UNRA e porcellane locali ormai rese preziose
dall’antichità e dal buono stato di conservazione. E ci sono,
nascosti nei posti più impensabili, i biglietti: decine e decine di
biglietti conservati dalla Natalina a futura memoria.
Dopo aver commesso l’errore di
parlarmi dei biglietti, ora la Carla si è pentita perché teme che
la mia curiosità possa tradursi in una profanazione. Ora dice che
non è vero, che di biglietti ce n’erano pochissimi. E così dopo
giorni di pressioni e contrattazioni sono riuscito a ottenere solo
tre foglietti manoscritti. Forse sono quelli che la Carla considerava
più nobili, o almeno più innocui.
Li ho qui. Li ho disposti in un
ordine che mi sembra il più logico. E ora gioco ad inventarmi un
personaggio basandomi sull’unica tenue traccia di questi tre
fogliettini di carta.
Il primo mi sembra un tentativo di
spiegazione, una giustificazione di quella vita così priva di
ragioni.
Un infanzia patita dura tutta la
vita.
Una vita negli anni più belli con
delle preoccupazione e tribulazioni così detesto gli sprechi in
realtà non riesco a buttare via niente. Quello che ò lo sudato a
spremere i miei soldi vien fuori sangue e sudore. Nel sangue ò una
montagna di amaresse e così mi sento distaccata da tutti.
Non abbiamo mai avuto affetto ne compressione.
Quando non ci sarò più che verrete in possesso dei mie risparmi
abbiate la compiacenza di leggere questi scritti. Sono diventata così
staccata per i torti che ò subiti durante la vita.
Eh, la nostra Natalina letterata! La
grafia è ordinata, precisa, con qualche svolazzetto elegante che fa
perdonare gli errori che ho fedelmente trascritto. Sbaglio o la prima
riga è un distico mascherato?
Un’infanzia patita
Dura tutta la vita
Due settenari in rima: anche se la
Carla non vuole capirlo, la Natalina scriveva per i posteri. E
d’altronde è lei stessa ad invocare “la compiacenza” di
leggere i suoi scritti.
Anche questo che è indirizzato a
Dio.
O mio Dio jahvè liberami dalle
incertezze della vita dall’anzia e da quel senzo di paura che è
in me; non mi lasciare così te ne prego ardentemente esaudiscimi le
mie preghiere. Illuminatemi la mia intelligenza che io possa capire
quando tu mi dai la grazia di qualcosa che io possa bene accettarla.
Porta la grazia e il sorriso al mio cuor fa che la mia V. possa avere
la gioia di vivere.
E sul retro dello stesso foglietto:
O mio Dio jahvè io mi rivolgo a voi per avere
avere aiuto e protezione fammi la grazia che gli impiegati di … mi
facciono le cose giuste onemente. Esaudiscimi le mie preghiere io
sono sola ò tanto bisogno del tuo aiuto. Fammi la grazia che il
porta lettere mi porti la mia corrispondenza specialmente le lettere
dalla ba… con su i miei interessi.
E’ proprio pensando ai posteri che
la Natalina omette di far nomi, antesignana della privacy. Chi è o
che cos’è la “V.”? la mia “V.”? Difficile,
conoscendo la vecchia, pensare a una persona, ma chi se non una
persona può provare gioia di vivere? Dunque c’era qualcun’altra,
oltre alla Carla e all’amministratrice? Qualcuna così cara da
meritare quell’attributo di “mia”?
Considerato il contesto, “la mia
V.” potrebbe essere semplicemente “la mia vita” e così avevo
interpretato ad una prima lettura. Ma ora non so più. Un amore
segreto nella storia della Natalina? E’ questa la ragione
dell’improvvisa reticenza della Carla?
Nessun mistero, invece nella
preghiera scritta sul verso: a matita – e probabilmente nel dubbio
che Dio potesse non capire o mal indirizzare la sua grazia – la
Natalina ha scritto in margine nome e cognome degli impiegati, e la
“ba…” non può essere altro che la banca, il cui nome è però
scrupolosamente omesso.
Mi piace, francamente, la semplicità
di questa commistione fra Jahvè, Mammona e (forse?) Venere. Se il
mondo spirituale della vecchia era questo, per quale ipocrisia
avrebbe dovuto censurare perfino queste “lettere a Dio” scritte
nel segreto dell’anima?
Il terzo e ultimo biglietto è il più
lungo e il più cronachistico. Questa volta sono io a dover applicare
degli omissis, perché, ovviamente, nessun riferimento è mai – né
qui né altrove – puramente casuale.
44 anni fa morì la proprietaria dove abitavamo. A
Laveno è sempre stato così a trovare case in afitto è dificile,
preferivono afitarle ammobiliate. E siamo stete costrette a comprare
un piccolo appartemento. A quei tempi vi erano tanti che costruivano
appartementi in condominio. Allora le paghe era basse, la Giulia di
notte non dormiva diceva lavoriamo tutte 2 nella medesima Fabbrica se
per mancanza di lavoro la chiudessero cosa facciamo. Si mangiava solo
pane niente divertimenti. Abbiamo trovato di fare le cassiere qui a
Laveno al cinema * e Giulia a **. Di domenica era al pomeriggio e
alla sera era continuato, e in settimana solo 3 giorni solo alla
sera, e di giorno in Fabbrica. I sacrifici li abbiamo fatti noi 2.
Perché pretendere la nostra roba. Quando Giulia non stava bene mi
diceva, io muoio presto e tu se trovi una persona che ti aiuta e ti
guarda nella tua vecchiaia lascia lappartemento, se non la trovi
lascia la casa a quelli dei tumori.
Abbiamo assistito il dolore di
nostra madre morta di tumore. Abbiamo fatto tanti sacrifici per
comprare le medicine, a quei tempi le malattie croniche la mutua non
passava niente. Il medico era il dottore *** era uno che andava a
letto con i suoi pazienti,
Se fossi stata una di quelle… mi
avrebbe aiutata cambiando la malattia in cualcosa daltro.
E’ tutta qui la
storia di Natalina l’avara, di Natalina la cattiva? Bastano tre
foglietti a raccontare una vita? Forse la mia amica Carla sa più
cose, forse protegge qualche altro segreto affidato ai bigliettini
che arricchirebbe le sfaccettature del personaggio. Ma io so e posso
raccontare solo quello che si legge in quei tre foglietti.
Ora la Carla si
tormenta per quell’eredità che la offende. Non l’ho fatto per il
denaro, dice. E ha deciso di tenersi l’appartamento e di consegnare
i soldi a due lontane nipoti della Natalina. Abbiamo cercato di
spiegarle che la vecchia si rivolterà nella tomba, ma la Carla è
irremovibile.
Laveno è un luogo che ho amato molto.Si lascia abbracciare dal lago,dalle sue voci antiche,ora capisco che una di queste era di Natalina.Penetrante e mistica come l'eremo di S.ta Caterina che cade a picco nell'acqua e medita negli occhi,nelle orecchie curiose di chi resta o passa che è la stessa cosa.La solitudine ha funzione di luogo,di eredità,di conoscenza.I tre biglietti come le isole borromee,come l'acqua del lago che bagna rive diverse,ma un'unica terra.Al lettore non rimane che gestire nell'eredità di Natalina,l'umore straziante dell'esistenza,delle sue profondità....
RispondiEliminaMirabile lavoro giornalistico piu' che racconto, dove Natalina e' il vero protagonista piu' che l'autore. Il giornalismo che vorrei leggere, sempre. Ben scritto, ben documentato, umano ma basato sulle testimonianze, scritte, tangibili. E la poesia della scelta del soggetto... Qui si' che esce il poeta, la "penna d'oro". L'argomento-soggetto-protagonista rivela l'interiorita' dell'autore, ne metaforizza il sentire. Sono una lettrice soddisfatta. CZ
RispondiElimina:o)
EliminaSonia, ma tu leggi e scrivi alle 3 e mezzo di notte?
RispondiEliminaA Laveno vado più volte alla settimana, perché ci vivono persone che mi stanno molto a cuore. Sono i posti di Pietro Chiara, autore che invece amo pochissimo. E' il profondo nord, per me che sono di sangue mediterraneo.
Il Lago Maggiore, a mio parere, è secondo solo al lago di Garda tra le bellezze dell'Italia interna, dell'Italia non marittima. Ma purtroppo fa pur sempre parte di una terra gretta, chiusa, in cui le persone sono così spesso sole, legate da vincoli che un tempo erano di sopravvivenza e ora solo di denaro e interessi.
La globalizzazione culturale, che altrove ha forse fatto danni, qui invece produce qualche beneficio. "Carla", infatti - anzi la Carla, per dirla alla lombarda - è una di questi posti, ma ha calore e passioni quasi meridionali. E poi la diffusione dell'italiano in sostituzione del dialetto (i giovani ormai il dialetto neanche lo capiscono) ci ha resi, con mia gioia, un po' più italici.
La Natalina - personaggio un po' inventato e un po' vero - è secondo me un simbolo di questo individualismo esasperato che sfocia in disperate solitudini.
Dovrei poter tradurre in personaggi verghiani i due presenti nella "novella" di Paolo S., ma la Natalina, oltre a racchiudere nei pochi bigliettini disponibili l'intera sua vita, ne rappresenta le aspirazioni, anche quelle relative al suo rapporto con un dio il cui nome non dovrebbe essere mai pronunciato, ma che ne costituisce l'anelito, restituendo all'avara Natalina una ormai non più miseranda umanità. In una sorta di riscatto finale, quasi previsto dalla illetterata Natalina, appaiono i contorni di un grande cuore che ha sempre taciuto e celato se stesso, e alla cui generosità La Carla non ha la capacità di credere. Un racconto denso e intenso, di una grande semplice bellezza. Un dono del quale dobbiamo essere grati a Paolo Santarone.
RispondiEliminaAntonino Caponnetto
[Ora la Carla si tormenta per quell’eredità che la offende. Non l’ho fatto per il denaro, dice. E ha deciso di tenersi l’appartamento e di consegnare i soldi a due lontane nipoti della Natalina.]
RispondiEliminaMagnifico finale. Natalina aveva condotto una vita grama senza scordarsi però prima di passare a miglior vita di lasciare una piccola fortuna a una donna che le era rimasta accanto. Due generosità che si riconoscono, sentimenti belli e un riscatto della vecchina davvero sorprendente. Ho letto con vero piacere. Grazie.